Responsabilità medica, risarcimento in tema di consenso informato e onere probatorio: L’onere probatorio inerente la causalità materiale «grava sul creditore e solo in seguito a tale prova grava sul debitore provare l’assenza di colpa, ovvero che l’inadempimento sia derivato da una causa non imputabile al debitore». Cass. civ., sez. III, sent., 7 ottobre 2021, n. 27268

Intervento chirurgico e lesioni post-operatorie. Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda di risarcimento danni, proposta da R.S., in seguito alle lesioni subito durante un intervento chirurgico eseguito presso una struttura sanitaria.

La Corte d’Appello locale confermava la pronuncia del Tribunale, sottolineando come «nessun inadempimento potesse essere addebitato ai sanitari della ASL appellata, giacchè, come chiarito dalla CTU, l’infezione post-operatoria non era scrivibile ad una condotta imperita, negligente o imprudente dei sanitari – trattandosi di complicanza prevedibile ma non prevenibile –  i quali gli avevano comunque prescritto una idonea terapia antibiotica, invitandolo altresì ad un controllo post-operatorio per la verifica della ferita chirurgica».

Il nesso causale. R.S. ricorre in Cassazione lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente negato che «il creditore-attore avesse offerto la dimostrazione del nesso di causalità materiale tra la prestazione medica ricevuta presso la struttura e l’evento di danno lamentato». Il danneggiato non avrebbe, quindi, dimostrato il nesso di causalità tra condotta ed evento.

I principi in tema di attività medico-chirurgica. La doglianza è inammissibile. Secondo la Corte di Cassazione, l’onere probatorio inerente la causalità materiale, «grava sul creditore e solo in seguito a tale prova grava sul debitore provare l’assenza di colpa, ovvero che l’inadempimento sia derivato da una causa non imputabile al debitore» (Cass. n. 18392/2017n. 28991/2019n. 28992/2019).

Inoltre, in tema di attività medico-chirurgica sono stati affermati i seguenti principi:

«1) la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli artt. 2,13 e 32, comma 2, Cost.;

2) sebbene l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell’unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente – che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura e del risanamento del soggetto – non può affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno; è possibile, invece, che anche l’inadempimento dell’obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori “concorrenti” della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo quindi riconoscersi all’omissione del medico una astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche conseguenze dannose;

3) qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta” (ex art. 1223 c.c.) di tale danno – conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale; mentre se egli avesse negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno – conseguenza;

4) le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatesi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della c.d. vicinanza della prova) […]» (Cass. n. 2847/2010 e seguenti conformi).

L’errore del ricorrente. Nel caso di specie, il ricorrente ha erroneamente censurato la sentenza impugnata, riproponendo l’ipotesi di risarcibilità corredata ad un danno biologico che non si colloca in rapporto causale né con l’intervento iniziale né con il decorso post-operatorio.

Per tutti questi motivi il Collegio dichiara inammissibile il ricorso.Cass. civ., sez. III, sent., 7 ottobre 2021, n. 27268

Presidente Travaglino – Relatore Pellecchia

Fatti di causa

1. Nel 2009, S.R. convenne in giudizio, dinanzi il Tribunale di Napoli, la ASL Napoli (…) al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, conseguenti alle lesioni da lui subite a seguito di un intervento chirurgico eseguito presso la struttura sanitaria convenuta. In particolare, l’attore dedusse di essersi sottoposto, in data (omissis) , ad un intervento per l’asportazione di un piccolo lipoma presente nella pianta del piede destro, e di essere stato dimesso con relativa prescrizione terapeutica. Espose ancora l’attore, a fondamento della proposta domanda risarcitoria, che, l’anno successivo, a seguito di complicanze settiche, recatosi presso l’Ospedale (omissis) , gli fu aspirato un ascesso e diagnosticata la presenza di “ascessi batterici multipli del piede e caviglia desta, diabete mellito di tipo II”. La ASL Napoli X si costituì in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 11500/2014, rigettò la domanda proposta dal S. in assenza di qualsiasi nesso di causalità tra l’operato della struttura sanitaria e le lesioni dedotte dall’attore. 2. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 4940/2018, pubblicata il 31 ottobre 2018, ha rigettato l’impugnazione proposta da S.R. . I giudici della Corte territoriale hanno ritenuto rispettati i principi generali che governano il tema della responsabilità medica, in particolare quello riguardante l’onere probatorio, non avendo l’attore provato il nesso causale tra la condotta dei sanitari e i danni lamentati. Il giudice dell’appello ha ritenuto che nessun inadempimento potesse essere addebitato ai sanitari della Asl appellata giacché, come anche chiarito dal C.T.U., l’infezione post operatoria non era ascrivibile ad una condotta imperita, negligente o imprudente dei sanitari – trattandosi di complicanza prevedibile ma non prevenibile – i quali gli avevano comunque prescritto una idonea terapia antibiotica, invitandolo altresì ad un controllo post operatorio per la verifica della ferita chirurgica. Anche le deduzioni dell’appellante in merito all’irregolare tenuta della cartella clinica risultavano irrilevanti per i giudici dell’appello, tenuto conto che l’infezione si era manifestata solo cinque mesi dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico nonostante la somministrazione di terapia antibiotica post operatoria. Del resto, la circostanza della insorgenza della patologia diabetica in epoca successiva all’intervento chirurgico ed alle terapie post operatorie trovava ulteriore conferma proprio nelle allegazioni dell’atto introduttivo del giudizio, dove il S. aveva dedotto che solo in data (omissis) gli era stata praticata l’aspirazione di un ascesso. In merito al profilo riguardante il consenso informato, i giudici del merito hanno ritenuto assente una qualsiasi violazione dell’obbligo informativo da parte dei sanitari considerato che, all’epoca dell’intervento, il paziente non era ancora affetto da diabete mellito. 3. Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per Cassazione S.R. sulla base di tre motivi. 3.1. La ASL Napoli 1si costituisce per resistere al ricorso, senza spiegare alcuna difesa scritta, ai fini della sola discussione in pubblica udienza.

Ragioni della decisione

4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta: “difetto di motivazione rispetto ad un fatto decisivo per la controversia. Contraddittorietà della motivazione. Violazione dell’art. 111 Cost. italiana”. Denuncia in particolare, la erroneità della sentenza nella parte in cui la corte d’appello ha negato che il creditore-attore avesse offerto la dimostrazione del nesso di causalità materiale tra la prestazione medica ricevuta presso la struttura e l’evento di danno lamentato. Nella specie, si sarebbe trattato di un intervento – di semplice esecuzione – di resezione di un lipoma al piede, a seguito del quale si era sviluppata nel tempo una patologia batterica a carico delle ossa (o s teomielite). Secondo il ricorrente, la sentenza sarebbe errata perché i giudici dell’appello hanno ritenuto che il nesso di causalità tra condotta ed evento non fosse stato dimostrato dal danneggiato, e ciò in quanto, a giudizio della Corte territoriale, le sequele infettive sarebbero derivate in via esclusiva da una patologia strutturale, il diabete, di cui il S. sarebbe diventato portatore solo dopo l’intervento dell’ottobre del 2003. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta: “difetto di motivazione rispetto ad un fatto decisivo per la controversia. Contraddittorietà della motivazione. Violazione o falsa applicazione dell’art. 32 Cost.“. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato la carenza di consenso informato e avrebbe invertito l’onere probatorio ritenendo che spetti al paziente dimostrare di non aver ricevuto idonee informazioni. Inoltre, la presenza di concause, come il diabete, avrebbe dovuto condurre la struttura e i medici a fornire la migliore informazione possibile al paziente, il quale invece avrebbe visto leso il suo diritto all’autodeterminazione proprio per la carenza informativa circa l’intervento e le conseguenze post-operazione. I motivi sono entrambi inammissibili perché non colgono la ratio decidendi della pronuncia impugnata. La Corte d’appello ha rigettato il gravame per la mancata prova del nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento di danno lamentato dal ricorrente. Tale onere probatorio, riguardante la causalità materiale, grava sul creditore e solo in seguito a tale prova grava sul debitore provare l’assenza di colpa, ovvero che l’inadempimento sia derivato da una causa non imputabile al debitore (i.e. da un fattore imprevedibile e inevitabile: (Cass. 18392/2017; Cass. n. 28991 e 28992/2019). La Corte d’appello si è attenuta ai predetti principi. Decisive in tal senso, per i giudici di seconde cure, dovevano ritenersi le risultanze della perizia redatta dal C.T.U., secondo la quale i danni lamentati dal ricorrente erano etiologicamente riconducibili esclusivamente alla patologia di cui egli era affetto, e cioè il diabete. Inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto irrilevanti le doglianze relative alla mancanza della cartella clinica con adeguata motivazione, in quanto i danni lamentati non risultavano compatibili con l’operazione, seguita peraltro da una terapia ritenuta idonea dallo stesso consulente. In definitiva, l’affermazione dell’insussistenza di un qualsivoglia rapporto di causalità tra l’intervento e il percorso post-operatorio, da un canto, e la patologia diagnosticata a distanza di un anno, dall’altro – correttamente argomentata dalla Corte territoriale con motivazione scevra da qualsivoglia vizio logico-giuridico – non risulta efficacemente contrastata dal ricorrente, che si limita a sovrapporre le proprie, soggettive considerazioni a quelle correttamente esposte nella sentenza impugnata. Quanto, in particolare, alla valutazione della consulenza all’interno del giudizio di merito, è ius receptum presso questa Corte regolatrice quello secondo il quale tale attività rappresenta un giudizio di fatto, come tale non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione apparente, ovvero insanabilmente ed illogicamente contraddittoria, così come non lo è la possibilità per il giudice di integrare il materiale probatorio a disposizione all’interno del giudizio. A fronte di ciò, la decisione della Corte d’appello appare insindacabile sotto i profili censurati dal ricorrente, il quale, da un lato, non coglie la ratio decidendi della pronuncia, dall’altro mira a censurare profili fattuali non sindacabili in questa sede. Anche privo di fondamento è il motivo nella parte in cui lamenta l’assenza di informazione adeguata in merito all’intervento ed ai relativi postumi patiti dal ricorrente. In tema di attività medico-chirurgica, questa Corte, con la sentenza n. 28985/2019, confermata da Cass. n. 9706/2020 e Cass. n. 24471/2020, ha affermato i seguenti principi (cui il collegio intende dare seguito): 1) la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli artt. 2,13 Cost. e art. 32 Cost., comma 2; 2) sebbene l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell’unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente – che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto – non può affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno; è possibile, invece, che anche l’inadempimento dell’obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori “concorrenti” della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo quindi riconoscersi all’omissione del medico una astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche conseguenze dannose; 3) qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta” (ex art. 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale; mentre, se egli avrebbe negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza; 4) le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico eventualità non rientrante nell’id quod plerumque accidit (Cass. 2847/2010 e successive conformi): al riguardo, la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall’omessa informazione. Pertanto, i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato sono i seguenti: a) nell’ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale è egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sarà dovuto; b) nell’ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a più accurati attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici. Ebbene nel caso di specie il ricorrente ha erroneamente censurato la sentenza impugnata in quanto con il motivo di ricorso ha riproposto l’ipotesi di risarcibilità correlata a un danno biologico che, come sinora esposto, non si colloca in rapporto causale nè con l’intervento iniziale, nè con il suo decorso post operatorio. Per questo motivo il giudice dell’appello lo ha rigettato rilevandone la insufficienza in termini di prova (cfr. pag. sentenza impugnata). 4.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. – erronea motivazione della condanna alle spese di giudizio”, in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente condannato il ricorrente alla condanna delle spese sulla base di una infondata soccombenza. Il rigetto dei primi due motivi assorbe il terzo e ultimo motivo. 5. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese. 5.1. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

GIUFFRÈ FRANCIS LEFEBVRE S.P.A.

By |2021-10-12T18:02:27+02:00Ottobre 12th, 2021|Notizie|Commenti disabilitati su Responsabilità medica, risarcimento in tema di consenso informato e onere probatorio: L’onere probatorio inerente la causalità materiale «grava sul creditore e solo in seguito a tale prova grava sul debitore provare l’assenza di colpa, ovvero che l’inadempimento sia derivato da una causa non imputabile al debitore». Cass. civ., sez. III, sent., 7 ottobre 2021, n. 27268